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Il Campetto. Di come i bambini croati giocano l’estate sognando medaglie olimpiche

Un paese qualsiasi della Dalmazia, un piccolo paese, come si direbbe quaggiù. Ci sono le case di pietra, le pinete, rosmarini lavande e cicale, scogli bianchi e mare blu; in quel mare dal colore che riempie l’anima, si stagliano quattro corsie di boe bianche, due porte galleggianti come sogni di bambini.

Un campo da pallanuoto, come ce n’è ovunque lungo la costa croata. I ragazzini arrivano verso le nove di mattina, i primi sono piccoli, avranno cinque anni, fanno allenamenti di nuoto, poi i più grandi prendono le misure col pallone, avanti così fino ai grandi e alle partite serali. Strano chiamarli allenamenti, è più una scuola di vita: è spazio e mare, agonismo e rispetto, è ekipa, squadra.

Giocano tutti, in tutti i ruoli, l’obbiettivo è il divertimento, entro la disciplina e le regole, lo scopo è il creare e lo stare insieme, i risultati e le vittorie arriveranno poi. I bambini danno tutto, tengono duro perché i loro compagni non mollano, si divertono perché tutti hanno un posto in squadra, bravi e meno bravi, grossi e gracili, per trovare i fuoriclasse ci sarà tempo dopo, alla soglia della maturazione, adesso è tempo di libertà e scuola e quello specchio di mare diventa casa, aggregazione, sorriso e pianto, diventa indispensabile.

Mi ha sempre colpito l’attitudine allo sport di questi paesi, spesso mi hanno chiesto della ragione per cui croati, serbi, sloveni, montenegrini siano così pochi ma così forti negli sport. No, non è genetica, né fame di riscatto, è solo attitudine.

Non c’è tempo per bruciare un ragazzino rendendolo prodotto costoso, mettendolo sotto contratto, pretendendo risultati, caricandolo di responsabilità; c’è invece tempo per farlo crescere, fargli imparare la tecnica e la magia del gioco, farlo divertire, farlo sorridere, si trova il tempo per la gioia, si diventa forti dopo.

Praticare sport, farlo diventare la propria professione vuol dire affrontare una vita dura, privilegiata ma dura: allenamenti, pressioni, paura del fallimento e dell’infortunio, rapporti col pubblico e coi media. È un mondo crudele, impossibile da affrontare senza gioia.

Parte tutto da qui, dal piccolo specchio di mare, dove si passa l’estate coi compagni e gli allenatori, dove i genitori rimangono lontani senza interferire con le dinamiche del gioco, dove si arriva da soli, si molla giù la bici e ci si tuffa, dove si prendono botte, si beve mare, ci si sorride, dove si cresce.

Ed un giorno ci si trova grandi, liberi e forti. Qualcuno, forse, con una medaglia al collo.

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