Non so definire qual è stato il momento più emozionante di questo lavoro: il primo contatto? Sapere che avrei condiviso il palco con Vicki Butler-Henderson? L’arrivo a Maranello? Il momento in cui è apparsa la monoposto?
Davvero non saprei, essere chiamati da Ferrari è un onore che richiede un enorme impegno. Tutto era programmato al secondo, i dettagli dell’abbigliamento concordati con il responsabile comunicazione di Ferrari, l’inglese doveva essere impeccabile, le prove sono state infinite: dovevamo rispettare tempi e concetti rimanendo al contempo umani e trasmettendo l’emozione del momento.
Col batticuore e l’emozione nelle vene tutto è filato liscio come l’olio, ma fa parte del lavoro. Di tutta quella giornata mi piace ricordare ciò che ho detto a Vicky due secondi prima di salire sul palco: “Ma ti rendi conto che quando sarà svelata a tutto il mondo, noi saremo le due persone in assoluto più vicine alla SF90?”
Poi ricordo quando è apparsa, nel gioco di luci e musica, ricordo Vicky con gli occhi lucidi e la mia voce rotta. Entrambi bravi, precisi, puliti, entrambi emozionati. Era La Ferrari.
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